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SOLEIMANI - 5 gennaio 2020

L’uccisione con un drone mq9 “reaper”del generale Soleimani (non solo, dal 1998, capo della unità di élite delle Guardie della Rivoluzione iraniane Quds, ma addirittura possibile successore della Guida Suprema Ali Khamenei) in risposta all’assalto sciita all’ambasciata USA a Bagdad sembrerebbe sproporzionata, se non ci fosse una ragione sottesa: lo stretto legame USA-Israele. Invero, gli Stati Uniti, che già con Obama avevano abbandonato il dispendioso ruolo di “gendarme” nel mondo ripiegando su se stessi, considerano Israele il loro alleato più affidabile nonché l’unico baluardo della democrazia liberale in Medio Oriente. Ora, il potente stratega Qassem Soleimani gestiva una organizzazione militare fatta di intelligence, ideologia, truppe, armi e missili a medio e corto raggio (più sofisticati e pericolosi dei vecchi razzi Katyusha). Questa “struttura” oltre a rifornire la guerriglia sciita libanese Hezbollah e l’organizzazione sunnita di Hamas nella Striscia di Gaza aveva, ormai, assunto il controllo, tramite le milizie sciite, di una fascia di territorio, e dunque anche un corridoio aereo, tra Iraq, Siria e Libano che arriva fino al mar Mediterraneo e che rappresenta una pessima e reale minaccia sul confine nord, nord est di Israele. Qualche tempo fa, pare, che lo stesso capo del Mossad, Yossi Cohen, in una intervista rilasciata ad una rivista degli ebrei ultraortodossi, non avesse fatto troppo mistero dell’inserimento del nominativo del generale iraniano fra i possibili obbiettivi dell’agenzia di intelligence esterna israeliana. Ma, l’eliminazione diretta da parte di Israele di un uomo cosi influente, prossimo papabile capo di Stato sarebbe stata troppo, davvero troppo, pericolosa. Ovviamente, con l’assassinio compiuto dagli americani la situazione è altrettanto grave e drammatica (vero che lo stesso ministro della difesa israeliano Bennett ha convocato subito d'urgenza i capi delle forze armate e della sicurezza) e nessuno può prevederne le conseguenze. Tuttavia, ritengo (o meglio mi auguro), che l’Iran dopo questo pesante e diretto coinvolgimento degli USA sia ben consapevole del fatto che attaccare militarmente Israele e continuare a propagandarne la distruzione equivarrebbe a muovere guerra ad uno dei 50 stati federali americani con esiti nefasti nemmeno lontanamente immaginabili. Pertanto, questo “aut aut” e deterrente, sopite le ire, i desideri di vendetta e le rappresaglie (si spera contenute per evitare escalation pericolose) iniziali, potrebbe spingere il regime teocratico degli ayatollah di Teheran, che fra l’altro non ha a disposizione un altro stratega della caratura di Soleimani, a riprendere i negoziati sia sul nucleare, sia sugli equilibri e la sicurezza complessivi in Medio oriente. Un breve cenno ai risvolti italiani di questa crisi: ciò che emerge è la scarsa considerazione (il sottosegretario di Stato Mike Pompeo nemmeno ha ritenuto opportuno avvisare del raid) nonché, cosa più preoccupante, l’isolamento internazionale in cui siamo piombati. Atteggiamenti ondivaghi, un disarmante pressappochismo nonché un mai sopito diffuso “antiamericanismo” hanno inclinato una solida, ma anche equilibrata politica filo atlantista costruita con sapienza e competenza nell’arco di tanti anni da leader della caratura di Andreotti, Spadolini e Craxi. Faremmo, a mio avviso, bene anche a non rilasciare incaute dichiarazioni di giubilo di cui Trump non sa che farsene e che, invece, possono nuocere alla incolumità di migliaia di nostri soldati dislocati tra Libano e Iraq. Che Dio, per chi ci crede, ce la mandi buona. #mattinaledomenica

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