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CRAXI 20 ANNI DOPO

Premetto, a chi avra' la curiosita' di leggere questo lungo post, che non sono stato un sostenitore di Craxi quando negli anni 80 era un uomo osannato, sia perché all’epoca ero molto giovane, sia perché, in fondo, il potere con i suoi "adulatores" mi ha sempre un po' disgustato. 
Una delle peggiori mistificazioni che ho ascoltato su Craxi nel corso di questi anni da parte dei suoi detrattori è la contrapposizione, in termini poco edificanti, con Pertini. I due avevano temperamenti forti nonché una differente cultura e visione politica, ma vantavano una comune e solida militanza nel PSI, ed il 4 agosto 1983 Craxi giurava come capo del primo governo socialista dell’Italia repubblicana nelle mani di Pertini primo presidente della repubblica socialista (vedi foto).
Nessuno può dire come avrebbe reagito Pertini, scomparso qualche anno prima, di fronte alla triste sorte di Craxi, ma personalmente una idea me la sono fatta avendo ancora in mente l’espressione affettuosa e di rammarico dell’uomo che nel gennaio del 1944 ne organizzò l'evasione dal carcere di Regina Coeli.
Una quindicina di anni or sono, invero, a margine della presentazione di un libro di Ugo Intini e Paolo Franchi su Walter Tobagi, in un lungo e cordiale incontro con il leggendario giurista e partigiano Giuliano Vassalli, fra vari argomenti, il discorso finì inevitabilmente sul “povero Craxi”.
Giuliano Vassalli ne sottolineava con affetto la grande modernità politica unita al rammarico per la tragedia di un uomo che aveva scontato per tutti con una fine che tra i presidenti del consiglio del dopoguerra era stata riservata riservata solo a Moro.
“I denari per la politica sono come le armi per la guerra” dice un Craxi sbalorditivamente impersonificato da Favino nel film Hammamet.
E Craxi combatté audacemente, a suo tempo, una “guerra” contro due colossi: la DC, da una parte, forte del collateralismo con il Vaticano, con gli USA e con la CIA e, dall’altra parte, il PCI (con cui la battaglia era anche sull’egemonia culturale a sinistra) che godeva dell’appoggio politico e finanziario dell’URSS che a quei tempi, è bene non dimenticarlo, era una potenza straniera “ostile” con i missili SS-22 in Cecoslovacchia puntati verso l'Italia.
Il reperimento, anche illegale, di risorse finanziarie va inquadrato in quel contesto e Craxi onestamente lo ammise pubblicamente, fra l’ipocrisia (con la sola eccezione di Pannella) e il silenzio generale, nella seduta alla Camera dei deputati del 2 luglio 1992.
Fra quelle risorse finanziarie “illegali”, oltre a quelle che pure, come si dice nel film di Amelio, "rimanevano attaccate alle dita delle mani", molte furono impiegate per iniziative di sostegno internazionale: a Solidarnosc, ai dissidenti dell’Est sovietizzato, in soccorso ai socialisti travolti dalla dittatura di Pinochet cosa che, di certo, non gli procurò le simpatie negli ambienti CIA notoriamente coinvolti nel colpo di Stato contro Salvator Allende .
Su quest’ultimo punto, non sono un cultore del dietrologismo, si è scritto e detto molto (segnalo il recente libro di Marcello Sorgi, già direttore de La stampa, “Craxi presunto colpevole”).
In politica estera Craxi si dimostrò un convinto atlantista, quando da presidente del Consiglio diede il benestare all' installazione dei missili Cruise a Comiso avendone compreso, meglio di tanti altri, il significato in termini strategico-militare e di deterrenza.
Ma Craxi non fù un filo atlantista “sciocco” poiché era ben consapevole della naturale vocazione mediterranea dell’Italia nonché degli interessi nazionali non sempre conciliabili con quelli dell’alleato americano e, pertanto, sulla scia di figure come Mattei, Moro e Andreotti, perseguì una politica filo araba orientata a porre l’Italia come interlocutore privilegiato con i paesi Arabi e Mediterranei.
E’ in questo ambito che si colloca sia il “mitico” episodio di Sigonella nel 1984, sia il diniego agli americani nel 1986 delle basi sul territorio italiano per bombardate Tripoli. Anzi pare che, circostanza confermata successivamente da Andreotti, mise in guardia lo stesso Gheddafi dell’imminente "raid" salvandogli in tal modo la vita; probabilmente, se non lo avesse fatto, avremmo anticipato di una ventina di anni l’attuale disastro geopolitico libico causato dallo scellerato intervento della Nato nel 2011 e che porto' alla rimozione del colonnello Gheddafi.
Craxi ripeteva a Reagan “Siamo alleati, non servitori” e dopo le inevitabili e fortissime tensioni iniziali fra i due Paesi alleati, si conquistò l’ammirazione, anche confidenziale, dell’allora Presidente americano.
La stima del repubblicano Ronald Reagan nei confronti dello statista socialista è cosa nota, tanto che definì Craxi come “un socialista che detesta il bolscevismo più del sottoscritto”.
In questi giorni di acceso dibattito anche sui social, in occasione del ventennale della morte, ho letto pure di critiche a Craxi reo dell’aumento del debito pubblico italiano negli anni 80.
A me pare verosimile obiettare che la responsabilità del PSI di Craxi semmai andrebbe ragionevolmente ripartita pro-quota (il PSI alle elezioni del 1983 si attestò poco sopra l’11% ) con tutti gli altri partiti dell’epoca in una logica “consociativa” di gestione del potere che riguardò anche i sindacati.
Aggiungo che, sempre a mio parere, e alla luce di ciò che ho visto in questi decenni, quella classe dirigente (tutta) “defenestrata” aveva le competenze, le capacità e la responsabilità per porre rimedio al momentaneo dissesto della finanza pubblica.
Fra l’altro alla crescita esponenziale del debito pubblico, per ammissione di molti economisti, contribuì, nei primi anni 80, il cosiddetto "Divorzio" fra Ministero del Tesoro e Banca d’Italia, voluto fortemente da Beniamino Andreatta e Carlo Azeglio Ciampi (il PSI era contrario).
Prima del “Divorzio” i titoli di stato rimasti invenduti venivano comunque acquistati da parte della Banca d’Italia al tasso di interesse (basso) stabilito dal Ministero del Tesoro.
Dopo il “Divorzio” per vendere i titoli di Stato, non più acquistati dalla Banca d’Italia, bisognò alzare i tassi per poterli collocare sul mercato privato e continuare, in tal modo, a finanziare il debito pubblico.
Il risultato è che dal “Divorzio” ad oggi abbiamo pagato oltre 3800 miliardi di Euro di interessi, qualcosa come due volte il nostro PIL.
Proseguendo nella narrazione va detto che le vicende giudiziarie di Craxi, arcinote, maturarono in un clima di linciaggio avvelenato ben rappresentato dal lancio delle monetine all’Hotel Raphael e in un inquietante intreccio fra procure e cronisti giudiziari.
In quel clima da "canea giustizialista" di menzogne se ne sentirono, come se ne sentono, tante: dai tesori nascosti ai rubinetti d’oro, dagli arredi sfarzosi alla fontana tolta davanti al castello sforzesco di Milano e trasferita nei giardini della villa di Hammamet.
Appena qualche giorno fa sui social girava un post dove si parlava di Craxi come proprietario, fra terreni e altre proprietà immobiliari, di mezza Tunisia; commentando con Bobo Craxi, giustamente chiosava, sdrammatizzando, che in questi sarebbe opportuno chiamare il 118.
Tornando alle cronache giudiziarie di allora Craxi venne processato e condannato fino in Cassazione in breve tempo (qualche autorevole esponente parlò di un rito ad usum Craxi), sostanzialmente, sulla scorta del fatto che come segretario di partito “non poteva non sapere”.
Successivamente la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo investita della vicenda condannerà lo Stato italiano per violazione delle garanzie sul giusto processo e per violazione del segreto istruttorio.
Allorquando sarà possibile una analisi storica obiettiva sulla figura di Bettino Craxi, siamo sul cammino giusto ma ci vuole ancora del tempo, sgombra dall’odio ad oggi non sopito, si osserverà, che i meriti suoi, ma anche del suo vice e del PSI di allora (l’aver messo a regime, in quegli anni, da vero socialista e liberale, l’ascensore sociale bloccato da interessi coorporativi e rendite di posizione, gli sforzi per aprire una via di trattativa con i brigatisti per liberare Aldo Moro contro la linea dell'intransigenza sostenuta da DC e PCI, il sostegno, con i radicali, a Enzo Tortora, l’aver voluto Giovanni Falcone a capo degli affari penali presso il Ministero di Grazia e Giustizia, solo per citarne alcuni) saranno superiori ai suoi errori rendendo definitiva la sua collocazione fra gli statisti della storia politica italiana, europea e mondiale.
Concludo riportando e associandomi al nobile pensiero di Norberto Bobbio reso in una dichiarazione rilasciata dal filosofo torinese a Enrico Cisnetto, qualche anno prima della morte, e riportata da quest’ultimo sul suo giornale on line. 
“Craxi è stato uno statista e un leader politico di eccezionale valore, costretto a fronteggiare il più forte partito comunista del mondo libero. Anche il rastrellamento delle risorse finanziarie va visto in questo contesto. Purtroppo è mancato il senso della misura”. #mattinaledomenica

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