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Visualizzazione dei post da 2016

Legge elettorale “Italicum” e riforma Boschi … un mix improponibile …

Scrivo questo post per rispondere in modo un po’ più approfondito e meno frettoloso ad amici e conoscenti, reali e virtuali, che mi chiedono una opinione personale in merito all’ “ Italicum ” e alla riforma oggetto del prossimo referendum e ai quali, prima di rispondere, raccomando, come ho sempre fatto, lasciata da parte ogni simpatia e/o antipatia politica, di soffermarsi esclusivamente al merito della questione. La materia costituzionale non è delle più semplici, da operatore del diritto me ne rendo perfettamente conto, ma la Costituzione, fonte inesauribile di diritti fondamentali e di doveri per ognuno di noi senza distinzioni, merita qualche ora del nostro tempo libero spesa per l'approfondimento prima di dire, tra poco più di un mese, SI o NO. In verità non ho mai avuto in simpatia questa riforma e fin da quando era in gestazione, un paio di anni fa, ho intravisto il rischio di una maggioranza/minoranza “ pigliatutto ” (post del 10 luglio 2014 e del 22

BREXIT: fine dell'UE o inizio di un sano ripensamento?

Il triste esito del referendum sulla BREXIT mi ha confermato una sensazione che da anni avverto a pelle: L'Unione Europea nata da nobilissimi principi ispiratori, anziché come garante dell'affermazione dei diritti e baluardo per le libertà fondamentali richiamati dai suoi trattati istitutivi, viene percepita dalla gente come un apparato distante ed astruso (del resto l’organizzazione amministrativa dell’Unione non è mai stata molto felice) capace solo di elargire laute indennità e privilegi al solito esercito di politici e burocrati e completamente scollegato e distante dalla vita reale dei cittadini oltre che incapace di fronteggiare e/o risolvere qualsiasi tipologia di problema, dalla difesa comune al dramma dei migranti. All'inizio, tuttavia, non è stato così almeno qui da noi: Ricordo che 20 anni fa vi era un grande entusiasmo collettivo anche a tratti infantile (rammento come in qualsiasi tipo di manifestazione universitaria, politica, culturale, sportiva campeg

RIVOLUZIONE LIBERALE O M...

Sebbene l’Italia non può vantare una tradizione liberale solida e di massa gli italiani, inconsciamente, dimostrano nei fatti di prediligere i sistemi liberali tutte le volte che, profondamente sfiduciati e nauseati, spingono i propri figli ad inseguire occasioni di lavoro e studio a Londra ( tredicesima città italiana, vi sono circa 250 mila italiani ) ove questi ultimi trovano meritocrazia e opportunità da noi sconosciute. Ho una “quasi” certezza: O si fa una rivoluzione liberale radicale o si chiude per desertificazione economica ( complice, ovviamente, a suo tempo, la sciagurata globalizzazione selvaggia dell'economia che ha annichilito   interi distretti industriali e un debito pubblico debordante fuori controllo ). Storicamente va dato atto a Marco Pannella, Emma Bonino e ai radicali di aver accumulato nel corso dei decenni   il “know how” ( purtroppo, non i voti necessari ) per porre in essere una salutare rivoluzione liberale e non solo in tema di libertà civ

Perché in Italia manca un significativo movimento liberale?

Sovente mi chiedo perché in Italia manca un movimento “autenticamente” liberale con uno zoccolo elettorale significativo intorno al 10 - 15% e provo a darmi delle risposte da solo. Premetto che mi autodefinisco liberale di formazione socialista e credo fermamente nella funzione pubblica e imprescindibile dello Stato in tema di garanzia dei diritti fondamentali dell’individuo, dall’istruzione pubblica, ad un Servizio Sanitario Nazionale all’avanguardia, gratuito e accessibile a tutti, alla assistenza e previdenza (non ai privilegi) pubblica. Tale premessa in quanto spesso, parlando con la gente, riscontro che molti (lo pensavo anche io una ventina di anni fa) ritengono che i c.d. “liberali” (e molto spesso alcuni che si professano tali danno ad intendere ciò) mirino sostanzialmente a tutelare esclusivamente gli interessi delle classi abbienti, del capitale e della finanza; a tale obiezione rispondo chiedendo loro come mai, nei fatti, preferiscono mandare i loro figli a cercare o

Mettiamo in "gabbia" il debito pubblico

Chissà cosa direbbe oggi, con un debito pubblico a circa 2170 miliardi, l’allora presidente del consiglio Giuliano Amato che nell’estate del 92, con un debito pari a soli (si fa per dire) 850 miliardi di euro, nell’approntare una pesantissima manovra finanziaria, da 30 mila miliardi di lire, esclamò   “Un prodotto difficile da digerire, ma assolutamente necessario per un Paese che si trova sull’orlo del precipizio”. Ventidue anni fa la situazione del debito pubblico italiano, pur grave, era ancora reversibile: Sarebbe bastato un serio atto di responsabilità bipartizan mediante la predisposizione di un piano pluriennale vincolante di risanamento    -anticipando, a quel tempo, gli interventi correttivi e le manovre finanziarie spalmate tardivamente e, dunque, inutilmente nel corso di questi decenni-    sulla cui attuazione avrebbero dovuto concorrere a vigilare, responsabilmente, tutti nessuno escluso. Oggi discuteremmo di un debito pubblico in linea con quello dei Paesi europei

Corruzione e appalti … domani è un altro giorno si vedrà ….

Ci risiamo. Gli appalti pubblici ancora una volta si manifestano come il terreno di coltura prediletto della corruzione e del malaffare in questo Paese sempre più sciagurato. Relegare il contrasto di tale fenomeno al solo codice penale è insufficiente come ampiamente dimostrato dal riemergere periodico di gravi scandali. Alla corruzione vanno tagliate le gambe agendo sapientemente e diligentemente sui meccanismi che la generano. Un rimedio efficace, quanto meno da sperimentare, potrebbe consistere nell'introdurre capillarmente nel settore appalti pubblici il criterio del sorteggio: Una volta individuata e deliberata l’opera pubblica da eseguire e determinatone il giusto prezzo grazie all’ausilio di esperti (eliminando, così, il meccanismo anomalo dei ribassi che compromette la serietà e la congruità dell’offerta stessa) l’appalto andrebbe assegnato unicamente mediante pubblico sorteggio nell’ambito di un elenco aperto e certificato di imprese interessate e con comprovate

Il Manifesto di Italia Vivibile

La via obbligata dello sviluppo: Dall’Italia del posto pubblico all’Italia del lavoro autonomo

Ho la netta percezione che in tema di lavoro e di sviluppo economico vi sia una “ disarmante impreparazione ” dei Governi, dei partiti e dei sindacati dovuta sia ad incapacità, sia ai soliti particolarismi a cui, per ragioni legate alla ricerca del consenso elettorale, si sacrificano gli interessi generali del Paese. In realtà, Governi, partiti e sindacati non fanno altro che parlare di lavoro e di sviluppo, ma è come se, dimenticato il “ principio di causalità ”, si fossero comodamente assuefatti all’idea che il lavoro e lo sviluppo economico si originano motu proprio e non grazie ad una sinergica, idonea e coraggiosa azione politica e sociale capace di determinarli. Sono fermamente convinto che sono solo due le strade percorribili per generare lavoro e sviluppo economico vero. La prima è forse la più ammiccante ma, al momento, la meno praticabile: Attrarre massicci investimenti esteri nel nostro Paese. In verità negli ultimi anni si è assistito al fenomeno opp

CLASS ACTION contro malversazione e corruzione

Visti gli ultimi eventi pare che la legislatura sia ormai giunta al capolinea. Si iniziano a delineare schieramenti e programmi in vista dell’appuntamento elettorale. Il vento dell’antipolitica sembra essere stato placato e in tal senso il successo di partecipazione alle primarie è stato sbandierato come il riavvicinamento dei cittadini alla politica. Il sospetto di chi scrive è che sistematicamente il coinvolgimento emotivo dei propri elettori -come è già accaduto nella contese elettorali del 94, 96, 2001, 2006, 2008- venga usato dalla classe politica per distogliere l’opinione pubblica da una necessità non più procrastinabile: Una seria riforma della politica, dei suoi meccanismi e dei suoi costi. Se non si parte da quest’emergenza (che dovrebbe essere affrontata prima del voto), terminata la contrapposizione fra tifoserie elettorali ci ritroveremo lo stesso problema enormemente ingigantito. Ma, purtroppo, la classe politica è più propensa a guardar

CAMBIARE I PRESUPPOSTI DELLA (MALA) POLITICA SE SI VUOL BENE ALL' ITALIA!

Sistematicamente accade che nei periodi di crisi economica e morale che attraversano un Paese l’opinione pubblica reclami con insistenza e forte indignazione il ricambio radicale dell’intera classe politica e di governo. Questo tragico scorcio di fine 2011 non fa eccezione. La crisi morale, economica e finanziaria che attanaglia il Paese, alimentata da un decadimento di costumi che oltrepassa ogni livello di umana decenza, non ha precedenti nella storia Repubblicana: Corruttele di ogni sorta, malaffare, malversazioni, commistione di affari privati con affari pubblici, trasformismi, particolarismi e personalismi vari uniti a vicende come la “mondezza” abbandonata per le strade e piazze di Napoli hanno fatto, complice la potenza mediatica, il giro del mondo con un danno di immagine incalcolabile. Basta sentire quello che raccontano, con dovizia di particolari, i nostri connazionali che lavorano sparsi per il mondo per farsi un idea dello scherno di cui è oggetto il