L’inopportuna, dato il momento, uscita del Viceministro dell’Economia che in sostanza ha consigliato ai ristoratori italiani (il comparto turismo nel suo complesso vale il 13% del Pil nazionale) di fronte al preoccupante calo della clientela (soprattutto turisti stranieri) di prenderne atto e cimentarsi in nuovi business cosiddetti “creativi” (what’s?) non è che la riprova della distanza fra il “Palazzo”, i suoi vecchi e novelli frequentatori e la realtà vissuta.
Può succedere ovunque, e non è mai una bevuta d’acqua, di dover riconvertire, a seguito di una crisi economica, la propria attività economica, in cui magari si è spesa una intera vita lavorativa e tutti i risparmi; può capitare dovunque che un lavoratore, a seguito di una crisi aziendale, alla soglia dei 40/50/60 anni debba cercarsi una nuova occupazione, ma in Italia, soprattutto, se si è un lavoratore “over” equivale spesso ad una sorta di condanna alla “morte civile”.
Infatti, ed è per questo che ho trovato “infelici” le dichiarazioni del viceministro Castelli, il mercato del lavoro in Italia versa da decenni in uno stato pietoso e penoso, ostaggio di mancate riforme, biechi interessi coorporativi nonché rigidità normative e contrattuali non in linea con l’attuale evoluzione demografica dei Paesi avanzati e con l’esigenza di adattarsi alle nuove necessità che questa evoluzione genera.
In un Paese dove spesso si straparla "a vanvera" di riformismo vi sarebbero tante riforme a costo zero per renderlo un po’ più decente, dignitoso e vivibile.
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