Nessuno meglio di lui ha dimestichezza con i meccanismi monetari e finanziari, nessun italiano al pari di lui gode di prestigio e credito internazionale (lo spread sotto i 90 punti ne è la conferma) e, riguardo a quel che dirò a breve, nessuno più di lui viene considerato parte integrante da quell’establishment europeo (UE-BCE) con cui dovremo giocoforza interloquire e fare i conti i prossimi anni.
Mi auguro che, nel governare concretamente il Paese, Mario Draghi, i suoi uomini di fiducia nel Consiglio dei Ministri nonché quell’establishment europeo cui ho fatto cenno poc’anzi, prendano atto, senza infingimenti e ipocrisie, che (in un Paese drammaticamente senza crescita economica e lavoro, dove la percezione comune stratificata da decenni di mancate riforme, confermata e amplificata dall’esperienza dei lockdown, è che ormai via sia scarsa "convenienza" a intraprendere e dunque l’unica via utile sia cercare, direttamente o indirettamente, in un modo o nell’altro, riparo sotto una coperta pubblica sempre più corta) ogni ulteriore tassa sarebbe solo la solita “toppa” momentanea, controproducente nel medio e lungo periodo, poiché genererebbe ulteriore pessimismo e impoverimento dell’intero sistema Paese (come dimostrato dall’esperienza del governo Monti).
Mi domando poi se alcuni autorevoli membri del nuovo Esecutivo di indiscussa preparazione e competenza (anche adeguatamente remunerata) quando parlano di riforme, dalla digitalizzazione all'abolizione del contante, abbiamo in mano il “termometro” della reale condizione socio-economica in cui versa il Paese con una popolazione che da decenni subisce, soprattutto da Bologna in giù, un mercato del lavoro comatoso e mortificante, bloccato da numerevoli cappi e rendite di posizione, e che “sopravvive” grazie ad un welfare familiare (finché dura), fatto di pensioni e risparmi familiari, se non grazie ad espedienti di varia natura.
Sul piano finanziario, traendo spunto da uno studio elaborato da un fondo speculativo americano, Hirschman Capital, che mostra come, dal 1800 ad oggi, 51 Paesi su 52, con un debito pubblico superiore al 130%, sono finiti in default (ad eccezione del Giappone che, come noto, gode di piena sovranità monetaria e ha un suo Istituto centrale di emissione), temo che il Presidente Draghi (che auspico, terminata l’esperienza a Palazzo Chigi, possa accompagnare i prossimi governi politici dal Colle), le Signore von der Leyen e Lagarde nonché i “board” UE/BCE/FMI dovranno prendere atto dell’impossibilità per l'Italia (con un debito pubblico previsto al 160% per l'anno in corso) di risollevarsi e, duque, dell’inesorabilità di un default finanziario.
Allora, probabilmente, riaffioreranno nel dibattito, per salvare l’Unione, ipotesi quali la “monetizzazione” dei debiti sovrani, o almeno di quella parte causata dall’emergenza sanitaria, oppure gli Eurobond, dunque strumenti finanziari e monetari che richiederebbero la necessità di una modifica dello statuto della BCE.
Ipotesi, ovviamente, che se avanzate dai c.d. “sovranisti” sarebbero rispedite tout court al mittente, ma che potrebbero essere, alla luce di quanto dianzi detto (mi auguro vivamente di essere smentito) l’unica strada utile al perseguimento di quel “whatever it takes” caro a Draghi in contrapposizione a una Italexit non voluta, ma obbligata dalle circostanze (a maggior ragione, poiché non è escluso che dopo di noi toccherebbe alla Spagna e alla Francia).
Rinnovo il mio in bocca al lupo al neonato Esecutivo sperando che possa inaugurare un nuovo clima di collaborazione, legittimazione reciproca e rispetto fra le varie forze politiche al riparo da urla, tribalismi, faziosità e volgarità di vario genere (supportate non di rado dai media e dalla carta stampata) pur nella netta e coerente contrapposizione fra idee politiche differenti.
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