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REGIME FORFETTARIO: IMPEDIMENTO O STIMOLO PER LA CRESCITA?

In una Paese dove il mercato dei beni e dei servizi è debole e dove il numero dei lavoratori autonomi a dicembre 2019 è diminuito di 71 mila unità rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, si può, ragionevolmente, considerare il regime forfettario vigente come un ostacolo alla crescita delle imprese? Più che nella tassazione (l’imposta del 15% sui ricavi che sostituisce Irap, Irpef e addizionali è, in realtà, mitigata dalla impossibilità di beneficiare delle detrazioni fiscali e degli oneri deducibili, ad eccezione dei contributi previdenziali obbligatori, e, pertanto, prima di optare per questo tipo di regime contabile sarebbe utile eseguire un calcolo di convenienza per verificare l’esistenza di un reale vantaggio fiscale) il vero punto di forza del regime forfettario risiede nella semplificazione degli adempimenti fiscali (essenziale per chi si avvia e per i piccoli) nonché nella esenzione dal regime IVA. Su quest’ultimissimo punto, che pure è non di rado oggetto di critiche, mi piace richiamare ciò che avviene oltremanica dove vi è una IVA (Value Added Tax) articolata su tre aliquote 20%, 5% e 0%. Salvo  e & o, nel Regno Unito, un lavoratore autonomo (self-employed) non è tenuto a richiedere il numero di partita IVA (registrazione VAT) se il suo volume d'affari annuale (l’anno fiscale non corrisponde col nostro) non supera le 85 mila sterline. Questo significa che l’autonomo che non oltrepassa detta soglia non versa l’IVA non essendo tenuto ad applicarla ai propri clienti; i suoi profitti (al netto dei costi), ovviamente, sono assoggettati alle normali aliquote (20% fino a 50 mila sterline e 40% fino a 150 mila) previste per l’income tax (imposta sul reddito), oltre alla National Insurance (che finanzia il pagamento delle prestazioni previdenziali come pensione, malattia, disoccupazione); beneficia pure, come del resto i lavoratori dipendenti, di una buona no tax area fino a 12.500 sterline. La ragione è di agevole comprensione: l’esenzione dal regime VAT contribuisce (unitamente ad un sistema welfare/previdenziale agevole, efficiente ed inclusivo) a determinare quel necessario “humus” adatto a favorire la nascita, la crescita e la permanenza sul mercato di nuove iniziative di lavoro autonomo che, giocoforza, scontano maggiori difficoltà iniziali. Il risultato di questa politica del Regno Unito è che il numero di persone che ha iniziato a lavorare autonomamente negli ultimi anni è cresciuto in modo esponenziale. Badate bene che stiamo parlando di un Paese dove il lavoro autonomo subisce la “concorrenza” della vasta offerta privata di posti di lavoro dipendente adeguatamente retribuiti e dignitosi. Evidentemente gli autonomi sono considerati una preziosa nonche' necessaria risorsa indipendentemente dalle dimensioni e dal volume di affari. Dunque, a maggior ragione, ben vengano da noi regimi contabili agevolati e semplificati: starà poi alla bravura dei tecnici dell’Agenzia delle Entrate armonizzarli con quello ordinario in modo da rendere, alla luce della particolarità del lavoro autonomo, meno sconvenienti e automatici i normali sforamenti e rientri nel rispetto del principio di uguaglianza e di progressività dell’imposta. Dunque, l’on. Marattin di Italia Viva (mi auguro la sua sia stata solo una “boutade” televisiva) dovrebbe attentamente riflettere sul fatto che una micro impresa, un piccolo artigiano, un  professionista prima di crescere (e, vivaddio, in un sistema liberale trattasi comunque di una libera scelta) deve poter nascere, ma soprattutto, in un contesto nazionale dove la coperta è sempre più corta e non riesce a coprire dignitosamente tutti, sopravvivere. #caffealle18

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