Perché diverse aziende italiane, ma anche tante holding internazionali, scelgono di trasferire la loro sede legale e fiscale in Olanda?
Se è vero che esse, beneficiando di una esenzione totale da tassazione su dividendi e plusvalenze derivanti da azioni di società controllate, vanno a pagare, di fatto, meno tasse, è vero pure che la stessa cosa, più o meno, avviene anche nel Regno Unito (tanto è vero che Fiat Chrysler Automobiles N.V. ha la sede legale ad Amsterdam, ma il domicilio fiscale a Londra) e, addirittura, in Spagna: quindi, è improprio ed errato definire i Paesi Bassi come un paradiso fiscale che è tutt’altra cosa.
Aziende e gruppi internazionali, in verità, spostano la loro sede legale in Olanda, soprattutto, perché vanno a beneficiare di un diritto societario, di origine mercantile, molto snello che offre loro, attraverso due formule societarie agevoli NV (Naamloze vennootschap) e BV (Besloten vennootschap), a seconda che si vogliano quotare o meno le azioni in borsa, la possibilità di controllare meglio i propri affari.
La legislazione olandese, infatti, consente all’azionista di maggioranza relativa, ad esempio con una quota del 20%, di avere la maggioranza assoluta dei voti in sede di Consiglio di Amministrazione e, dunque, un notevole vantaggio per il controllo agevole dei propri assetti societari molto utile, soprattutto, alle grandi holding.
Da quanto detto sopra si intuisce che in genere, è a maggior ragione in un mercato globale, il regime legale, e, ovviamente, anche quello fiscale, unitamente a meccanismi di semplificazione, è basilare per trattenere le aziende nel proprio Paese e per attrarre nuovi investimenti.
Da noi purtroppo, i processi di liberalizzazione e semplificazione sono spesso solo sbandierati, ma nella realtà delle cose si verifica il contrario.
Prendiamo, ad esempio, il recente Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, di cui al decreto legislativo 14 del 2019: pur con l’apprezzabilissimo intento di superare l’idea punitiva del fallimento, ha introdotto, al fine di prevenire l’insolvenza, una sorta di diagnosi anticipata invasiva mediante delle complicate procedure di segnalazione finalizzate ad una attivazione tempestiva per affrontare lo stato di crisi.
Fortunatamente, con la grave crisi economica originata dalla pandemia da covid-19, grazie ad un emendamento, l’entrata in vigore delle norme di segnalazione previste dalla suddetta riforma è stata differita di sei mesi per tutte le imprese italiane di qualsiasi dimensione (personalmente mi auguro possa esservi un ripensamento generale e che queste norme vengano del tutto abrogate).
E’ evidente che essendo le ripercussioni del lockdown sulle imprese pesantissime, con un grave pregiudizio della capacità di far fronte ai propri impegni finanziari, vi sarebbe stata una insopportabile e generalizzata attivazione dei meccanismi di allerta e delle procedure di segnalazione.
Senza voler mettere in dubbio le buone intenzioni dell’odierno legislatore a me pare come se quest’ultimo non avesse compreso che l’imprenditore non è equiparabile a un solerte funzionario.
L’imprenditore ha qualcosa di innato, una attitudine naturale, una sorta di “intuitus personae” che non si apprende alla Bocconi o in qualificati Master of business economics che, ovviamente, hanno una grandissima importanza ove vanno ad aggiungersi a quella dote naturale.
Un imprenditore con bassa scolarizzazione dotato di quell’ "intuitus" funge, un brillante plurilaureato in economia sfornito di quel dono naturale non funge, anzi rischia di far danni.
Fatevene una ragione e laissez faire, laissez faire.
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