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UNA RIFLESSIONE SULLA GIORNATA DI IERI

Anche ieri, come del resto gli anni addietro, il mio atteggiamento verso questa solenne ricorrenza è stato di quasi silenziosa deferenza.
Atteggiamento, probabilmente, indotto dall'inconscio timore  -non avendo fortunatamente, io e la mia generazione, mai sofferto e patito, al contrario dei martiri di allora, per la privazione della libertà-  di banalizzare quei tragici eventi storici sui quali si fonda la nostra libertà e democrazia.
Cos'altro occorre, scriveva un mio amico ieri, per capire che il 25 aprile è la festa della liberazione di tutti TUTTI gli italiani?
Nel suo post riportava un episodio significativo, molto bello, avvenuto nel 1972 nell'aula del Senato della Repubblica: pare che Giorgio Pisanò (tra i fondatori del Movimento sociale italiano), incontrando Vittorio Foa (antifascista militante, esponente del Partito d'Azione nella Costituente, successivamente deputato per il Psi e poi per il Pci) dicesse "Ci siamo combattuti da fronti contrapposti, ognuno con onore, possiamo darci la mano" e che Foa rispondesse “E' vero abbiamo vinto noi e tu sei potuto diventare senatore, avessi vinto tu io sarei ancora in carcere. Ecco, ci rifletta. Ci rifletta un istante".
Un desiderio e un bisogno di pacificazione nazionale, dopo una guerra civile, che si intravedeva già nel provvedimento di amnistia del 22 giugno 1946 firmato dall’allora Ministro guardasigilli Togliatti con cui si aprirono le porte del carcere per circa ventimila fascisti. 
Anche perché non si poteva trascurare il dato storico che vi fosse stata una adesione di massa al ventennale regime, circostanza tanto evidente, pure agli alleati Anglo-Americani (il cui contributo alla Liberazione fu determinante), che Winston Churchill, con la consueta ironia che lo contraddistingueva, ebbe a dire “Bizzarro popolo gli italiani. Un giorno 45 milioni di fascisti. Il giorno dopo 45 milioni tra antifascisti e partigiani. Eppure, questi 90 milioni di italiani non risultano dai censimenti”.
Legittima e sincera pacificazione, dunque, senza infingimento alcuno o riserva mentale.
Lo stesso Giorgio Almirante che nell’estate del 1947 venne nominato segretario del neonato MSI (partito che si ispirava direttamente all’esperienza della repubblica sociale e che per la dodicesima disposizione transitoria finale della Costituzione avrebbe dovuto essere sciolto vista la esplicita vocazione al fascismo), pur non avendo mai festeggiato il 25 aprile, in una tribuna elettorale del 19 aprile 1972 disse “vi trovate di fronte ad un partito politico il quale ripudia la dittatura, ripudia il totalitarismo, ripudia il razzismo, ripudia l’antisemitismo, ripudia il metodo e l’uso della violenza”, e quel partito partecipo' alla vita democratica e parlamentare contribuendo, se non erro, pure all'elezione di due Capi di Stato. 
La pacificazione e la condivisione di quei valori fondanti passano, secondo il mio convincimento, per l'abbandono confuso, inflazionato e troppo disinvolto del termine fascismo che non di rado viene usato nel momento in cui si individua, di volta in volta, un potenziale “nemico” politico da delegittimare ingigantendo pericoli inesistenti.
Si assiste in tal modo ad una sorta di banalizzazione che porta ad un filo nero, modulabile a seconda del copione, il quale, oltrepassando pure i confini nazionali, va da Trump a Bolsonaro e arriva a Putin fino ad Erdogan, lambendo perfino la Merkel, e dato che nel mondo e' pieno di partiti unici, ideologia del capo, culto della potenza bellica, dovrebbe includere anche la Corea del nord di Kim Jong-un e non lasciare immune nemmeno la Cina.
Non lo trovo serio, non si rende un buon servigio ne' alla storia, ne' alla memoria, ne' al proprio Paese.

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