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LA "MORIA" DEI LAVORATORI AUTONOMI; In dieci anni -600 mila

E’ notizia di un paio di giorni fa che, secondo l’Istat, il numero dei lavoratori autonomi a dicembre 2019 è sceso di 16 mila unità su base trimestrale e di 71 mila rispetto all’anno precedente toccando il livello minimo storico del lontano 1977, mentre negli ultimi 10 anni (udite udite) il calo e' stato di 600 mila unità. Siamo di fronte ad una crisi economica, occupazionale e sociale vera e propria. L’emorragia riguarda principalmente imprese di piccole dimensioni c.d. “microimprese”, piccoli artigiani e professionisti (architetti, ingegneri, avvocati, agenti, rappresentanti ecc.) senza distinzione. Dunque, ad essere penalizzato è quel tessuto connettivo sano di base su cui (la storia economica italiana recente lo insegna) si radica, piramidalmente, ogni realtà imprenditoriale media o grande con tutte le positive ricadute sui livelli occupazionali, sul gettito fiscale e sul benessere generale del Paese. Solo una politica economica “sconclusionata” può intravedere una ripresa, credibile e sostenibile, in un quadro desolante del genere in cui, fra l’altro, il fattore psicologico negativo (a mio avviso troppo sottovalutato) comporta fra i lavoratori autonomi una sensazione di abbandono, penalizzazione, sconforto e scoraggiamento. Chi scrive auspica non da ora, ma da almeno 10 anni:
1) regimi contabili agevolati (flat tax progressiva e, possibilmente, tax ruling per i più piccoli) per le partite IVA, soprattutto, per una fondamentale esigenza di semplificazione;
2) ripensamento del sistema degli ammortizzatori sociali, di sostegno al reddito, della previdenza e assistenza in modo da renderli inclusivi anche per i lavoratori autonomi;
3) rimodulazione del sistema di accesso al credito a beneficio di chi non possiede una busta paga;
4) deregolamentazione e liberalizzazione di un sistema "perverso" che costringe chi vuole aprire una attività commerciale a circa 65 passaggi fra autorizzazioni e passaggi burocratici.
Oltre a tutto ciò e' estremamente urgente una misura repentina quale l’eliminazione della contribuzione previdenziale minima all’Inps e alle Casse di previdenza private che sta falcidiando, letteralmente, migliaia di piccoli lavoratori autonomi e professionisti. Infatti, come per le imposte, anche ai contributi previdenziali andrebbe applicato il criterio della proporzionalità e della progressività previsto dall’art. 53 della Costituzione (e mi auguro che sul punto i giudici di merito e di legittimità, preso atto della grave crisi sociale e occupazionale, possano mutare indirizzo). Rendere, insomma, con tutta una serie di accorgimenti fortemente appetibile, per i giovani e per i meno giovani, il lavoro autonomo e l’intrapresa economica rispetto al lavoro nelle pubbliche amministrazioni e al lavoro dipendente in genere; e non per una “anacronistica” contrapposizione fra lavoratori, ma per l’ovvia constatazione che si tratta di due mondi inscindibilmente interconnessi in quanto i livelli occupazionali dipendono proprio dalla salute di imprese e aziende.
Altrimenti come pensiamo, concretamente, di arginare le crisi occupazionali di Alitalia, Whirpool, Mercatone Uno, Ilva, Auchan e, ahimè, tanti altre? Con aiuti e sussidi di Stato? Assorbendo tutti nel settore pubblico? Col solo reddito di cittadinanza diffuso? Oppure, più credibilmente, ricostruendo pian piano quel fitto reticolato di piccole aziende, opifici, botteghe artigiane, esercizi commerciali, studi professionali, piccoli agricoltori fatto di, solidarietà, controllo sociale, anche cambiali, che ha reso grande l'Italia del dopoguerra #mattinaledomenica

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