Nel corso degli anni ho maturato la profonda convinzione che il
livello di civiltà di un Paese si rispecchia nei suoi carceri. Era il 10
dicembre del 1985 quando Enzo Tortora all'atto di dimettersi da
parlamentare europeo, rinunciando all'immunità parlamentare, scegliendo,
così, la via del carcere denunciò il degrado dei nostri penitenziari
esclamando "...e quali carceri, in Italia, sapeste colleghi...". Da
allora è cambiato poco o nulla; abbiamo istituti di pena sovraffollati e
disumani in cui andrebbe finalmente data concreta attuazione al dettato
di cui al terzo comma dell'art. 27 della Costituzione. Se, infatti, la
pena non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e
se, soprattutto, deve perseguire fini rieducativi non si può prescindere
dal fatto che lo Stato che ha inflitto quella giusta pena deve mostrare
al condannato proprio nel momento in cui sta scontando la condanna, da
una parte, il suo volto migliore, più probo e umano e, dall'altra parte,
la massima determinazione e severità nel mettere al bando in quei
luoghi di espiazione ogni forma di prevaricazione e violenza. Anche l'
Unione Europea è latitante: Forse, accanto ai freddi parametri di natura
finanziaria (rapporto deficit/pil) avrebbe dovuto imporre agli Stati
membri anche dei parametri sociali ricomprendendo fra questi il livello
di vivibilità degli stabilimenti di pena; l' unione politica europea ne
avrebbe tratto sicuro giovamento.
Ritornando all'annoso problema
del sovraffollamento va detto che prima di pensare a costruire nuovo
penitenziari occorrerebbe agire sul concetto di pericolosità sociale.
Infatti, facilmente intuiamo che qualcosa davvero non funziona circa la
formulazione (discrezionale) del giudizio di pericolosità sociale da
parte del magistrato tutte le volte che, con cadenza periodica, detenuti
in libertà commettono orrendi crimini (che tanto indignano l'opinione
pubblica) a danno di inermi cittadini, mentre, di contro, assistiamo a
vicende kafkiane come quella che nel 2005 vide protagonista l'allora
senatore Lino Jannuzzi che pluricondannato per diffamazione a mezzo
stampa venne addirittura ritenuto socialmente pericoloso da un
magistrato di sorveglianza ed evitò il carcere solo grazie al
provvidenziale intervento del Presidente Ciampi che gli concesse la
grazia. Se si lavora bene e in modo serio e scientifico su tale
concetto, rivisitandolo e rimodulandolo in modo obiettivo con il
fondamentale contributo della psicologia e della criminologia, forse in
un futuro prossimo potremmo riservare la detenzione in carcere soltanto
ai soggetti realmente pericolosi per l'altrui incolumità fisica e
patrimoniale, mentre agli altri condannati potremmo applicare gli
arresti domiciliari e le altre misure alternative alla detenzione,
peraltro, già previste dal nostro ordinamento. Anche il sistema
sanzionatorio, infine, appare, ancora oggi, troppo sbilanciato, sia per
quel riguarda le misure cautelari sia per quel che riguarda le pene,
verso la detenzione in carcere (anche nei casi in cui non sussiste
alcuna pericolosità) e troppo poco verso le pene di natura pecuniaria
che in molti casi costituirebbero un efficacissimo deterrente contro la
criminalità economica.In definitiva, pericolosità sociale, miglioramento
della condizione carceraria e sistema sanzionatorio non sono argomenti
disgiunti fra loro, al contrario, se opportunamente coordinati
costituiscono la chiave per portare a livelli accettabili e dignitosi i
nostri carceri.
http://italiavivibile.ilcannocchiale.it/2010/08/16/condizione_carceraria_pericolo.html
http://italiavivibile.ilcannocchiale.it/2010/08/16/condizione_carceraria_pericolo.html
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