Terminata la consultazione
elettorale, la distribuzione geografica del consenso, che ha visto il Movimento
5 stelle, principale fautore di tale misura, particolarmente premiato nelle regioni
del Sud, sta alimentando nuovamente la vecchia polemica, mai del tutto sopita, sull’assistenzialismo
di stampo meridionale.
Personalmente non amo, in genere, nessuna
forma di assistenzialismo né diretto, né indiretto poiché, come l’esperienza ha
dimostrato, nel lungo periodo, causa danni a iosa, ma non condivido neppure chi,
anche solo per speculazione politica, vuole annoverarvi il reddito di
cittadinanza tout court.
Ritengo, infatti, che il reddito di
cittadinanza o reddito minimo vitale, oppure reddito di dignità, indubbiamente misura
da Paese civile, se ben modulato rispetto al contesto economico-finanziario nazionale
che è sotto gli occhi di tutti, tenute in debito conto le coperture
finanziarie, i vincoli di bilancio, e contemperandolo con le attuali misure
similari (che dovrebbe assorbire) può costituire un valido strumento di
politica economica lungimirante.
Basta guardare ai Paesi più avanzati
del nostro, per giunta con i conti pubblici in ordine, ove diviene un vero e
proprio strumento di politica economico-sociale che permette a cittadini
inoccupati e/o rimasti senza lavoro di non piombare nella disperazione consentendogli,
anzi, di poter seguire percorsi formativi e riposizionarsi sul mercato del
lavoro abbinando, in tal modo, sviluppo economico e tranquillità sociale.
Ecco, il reddito di cittadinanza va
correttamente innestato nel sistema Italia con l’ausilio imprescindibile dei
centri per l’impiego che vanno assolutamente riformati sul modello efficiente del
career counseling/career coaching di matrice Londinese.
Ovviamente, ripeto, deve essere ben
calibrato alla situazione economica italiana anche tenendo conto, per ragioni
di equità, che, riguardo alla misura dell’importo mensile di cui da tempo si
parla, vi sono tantissime piccole Partite Iva che tolto dal loro volume di
affari annuale spese, tasse e contributi previdenziali non raggiungono detti
importi o li superano di poco e, dunque, è bene, a tal proposito, sempre
ricordare che, come diceva Milton Friedman “Se
tu paghi la gente che non lavora e la tassi quando lavora, non esser sorpreso
se produci disoccupazione”.
Aggiungo, poi, ed è una mio
convincimento personale che ho maturato da anni, che un tale strumento potrebbe
risultare molto salutare per iniettare nel mercato del lavoro salutari e
massicce dosi di flessibilità contrattuale in entrata e in uscita,
utilizzandolo, per l’appunto, come contropartita da offrire in cambio ai
Sindacati (vedi foto esplicativa).
Invero, come ha dimostrato il
recente Jobs Act, il voler introdurre
nel mercato del lavoro italiano flessibilità contrattuale (arrivando a mettere
in discussione il vecchio sistema delle tutele reali) -senza garantire ai lavoratori che perdono il
lavoro, come necessaria contropartita, l’introduzione
di uno strumento, come quello in discussione, agevole, effettivo realmente
funzionante (e ciò non è scontato in un Paese dove la pastoia burocratica ammanta
ogni cosa), coordinato pure con una rete di welfare che deve continuare necessariamente
a vedere nell’assistenza sanitaria efficiente e accessibile a tutti il fiore
all’occhiello- è da irresponsabili
poiché porta ad uno scontro sociale che, non giova proprio a nessuno, né ai
lavoratori, né alle aziende.
In estrema sintesi, credo che per poter
funzionare correttamente ed essere sostenibile da un punto finanziario il
reddito di cittadinanza deve incardinarsi in un circolo economico virtuoso
fatto da uno sviluppo economico significativo che reclama una economia finalmente
libera dai numerevoli cappi che la soffocano da troppi decenni e che hanno
svilito e mortificato, a vantaggio di inutili e dannosi interessi coorporativi,
la ratio sottesa all’art. 41 della
Costituzione.
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