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La via obbligata dello sviluppo: Dall’Italia del posto pubblico all’Italia del lavoro autonomo

Ho la netta percezione che in tema di lavoro e di sviluppo economico vi sia una “disarmante impreparazione” dei Governi, dei partiti e dei sindacati dovuta sia ad incapacità, sia ai soliti particolarismi a cui, per ragioni legate alla ricerca del consenso elettorale, si sacrificano gli interessi generali del Paese.
In realtà, Governi, partiti e sindacati non fanno altro che parlare di lavoro e di sviluppo, ma è come se, dimenticato il “principio di causalità”, si fossero comodamente assuefatti all’idea che il lavoro e lo sviluppo economico si originano motu proprio e non grazie ad una sinergica, idonea e coraggiosa azione politica e sociale capace di determinarli.
Sono fermamente convinto che sono solo due le strade percorribili per generare lavoro e sviluppo economico vero.
La prima è forse la più ammiccante ma, al momento, la meno praticabile:
Attrarre massicci investimenti esteri nel nostro Paese.
In verità negli ultimi anni si è assistito al fenomeno opposto, ossia ad un significativo e allarmante disinvestimento le cui cause sono ben note a tutti: L’instabilità politica e finanziaria mista al malgoverno diffuso, una pubblica amministrazione inefficiente poco trasparente e asfissiante, un fisco miope e contorto, una corruzione dilagante, le infrastrutture obsolete, trasporti non all’altezza di un paese europeo, la criminalità organizzata, la giustizia civile lenta, e in genere una preoccupante perdita di credibilità e di immagine all’estero.
Dicevo poc’anzi che questa strada, per il momento, è poco praticabile in quanto occorre ragionevolmente almeno un quinquennio di buon governo per ottenere una significativa e tangibile inversione di tendenza.
La seconda strada, al contrario, è praticabile da subito e si basa sull’incentivo e la nascita di un nuovo esercito di partite IVA:
Per poter favorire tale nascita consistente occorrono tre fattori concomitanti:
Un cambio di mentalità della gente che deve prendere atto e abituarsi all’idea, poco allettante, che chi lavora con la partita IVA non può contare su uno stipendio mensile sicuro (cosa non di poco conto per generazioni cresciute col mito del posto fisso).
Proprio per questo motivo occorre che il sistema degli ammortizzatori sociali e del welfare in generale, il sistema bancario e creditizio (dai fidi bancari ai mutui per l’acquisto della casa) vengano ridisegnati e cuciti su misura, a sostegno e incentivo, delle piccole partite IVA e del lavoro autonomo in generale.
Il secondo fattore parte dalla necessità di un rapporto leale e collaborativo fra fisco e partite IVA attraverso regimi fiscali agevolati e semplificati e mediante l’introduzione di innovativi meccanismi di tassazione come il tax ruling già adottato in altri paesi.
Il terzo ed ultimo fattore consiste in una radicale liberalizzazione dei servizi, delle professioni, dei mestieri, delle licenze e del commercio e nello smantellamento di ogni forma di coorporativismo.
Chiunque dotato di buona volontà, spirito di iniziativa e capacità di rischio deve avere l’opportunità di mettersi in proprio confrontandosi unicamente con le proprie capacità ed il mercato, obbligato unicamente a rispettare le norme in materia fiscale (poche e chiare), quelle in materia di sicurezza del lavoro e salubrità dell’ambiente e infine le norme sulla responsabilità civile a tutela dei terzi.
Ricordo che qualche estate fa seduto davanti al bar un perito chimico, piccolo imprenditore che opera nel campo della termoidraulica, mi disse che negli anni 70 aveva rinunciato ad un posto da insegnante nella scuola pubblica per lavorare in proprio.
Mi chiedo in quanti lo farebbero oggi?
Ma di fatto questa è la “cartina di tornasole” del ritorno alla crescita e allo sviluppo economico reale: giovani che di fronte alla scelta fra il posto fisso (che fra l’altro non c’è più) e l’apertura della partita IVA optano per quest’ultima e non perché costretti dalle circostanze, bensì in quanto incoraggiati da un sistema di tutele e fiscale nonché bancario e creditizio attagliato a supportare e a promozionare questo tipo di scelta.
Facilmente intuibili sarebbero le ricadute positive sul gettito fiscale, sul deficit pubblico e sullo snellimento da un apparato pubblico elefantiaco non più sostenibile dal sistema produttivo e causa principale di un debito pubblico debordante.
Tutto ciò non dipende dal caso, ma, come detto dianzi, da un grosso cambio culturale e di mentalità (che passa anche per un ridimensionamento collettivo) e da una presa di coscienza di tutti gli italiani di buona volontà che non si vogliono rassegnare all’idea di dover assistere impotenti ad una politica mediocre e meschina che porterà al declino tombale del Paese.

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